Published on Novembre 8th, 2017 | by Redazione
0IL RACCONTO. Il frate misterioso, tziu Strintu e quella strana notte del 31 ottobre
Quel pomeriggio di fine ottobre, sulla piazzetta dove si affacciavano gli occhi di molte porte, si era radunata una torma di ragazzini vocianti. Ognuno di essi portava sulle spalle una fodera di tela grezza che doveva servire a raccogliere dalla gente, i doni per la ricorrenza de is animeddas.
I bambini, allegri per natura, avevano trasformato questa raccolta in un divertimento: bussavano ridendo alle porte e tutti insieme cinguettavano una cantilena: seus benius po is animeddas. Ricevevano noci, mandorle, mandarini e melagrane e poi ancora fagioli, ceci e frutta secca. E via per i vicoli del paese. Le piccole mani si muovevano rapidamente per raccogliere quello che veniva offerto e c’era una specie di gara a chi riempiva prima il proprio sacco. Dalle case le donne partecipavano a quel rito ancestrale, aprivano le loro porte e, in onore delle anime dei morti, regalavano a quei pulcini le poche cose che tenevano in casa.
Il sole era tramontato da un pezzo ed era arrivata la sera quando si accesero i lampioni del paesino. I bambini erano già passati e la via era ridiventata silenziosa quando, alla fioca luce dei lampioni, un’ombra leggermente claudicante e con un cappuccio in testa apparve all’ingresso del paese: era un religioso, un frate che avanzava lentamente trascinando un asino più stanco di lui. La povera bestia, coperta da una bertula di orbace bruna, inciampava continuamente, sbattendo gli zoccoli sui ciottoli levigati dal tempo.
Assetato ed affamato, con il saio logoro, il misero frate bussò alla prima casa chiedendo con voce implorante di avere qualcosa da mangiare. In nome di Dio. La porta si aprì con la stessa violenza della folata di vento freddo che entrò nella casa e all’ingresso si stagliò la figura possente di un uomo. Tziu Strintu si era guadagnato sin da giovane questo soprannome per via della sua proverbiale avarizia. Accumulando denari ed anni, era diventato un ricco proprietario terriero di mezza età. Imponente e rubizzo (aveva consumato da poco la solitaria cena innaffiata dal solito mezzo litro di vino nero), tuonò con la sua voce rauca e piena d’arroganza: “Stanotte arrivano anche i dèmoni” poi, notando l’abito del frate, liso e consunto “Che volete voi?”
“Solo qualcosa da mangiare, ho fame ed anche il mio asino ne ha”.
L’omaccione rientrò in casa e, da un sacco, prelevò un paio di pugni di ghiande, che aveva raccolto per i suoi maiali. “Gratzias a Deus!” aggiunse ironicamente. “Mellus pagu che nudda” rispose umilmente il frate. “Accontentati frate, l’inverno non è per i poveri, dovresti saperlo” lo congedò tziu Stintu.
Il frate abbassò prima il cappuccio e poi lo sguardo e se ne riuscì dal paese con la bisaccia a tracolla ed il somaro.
Camminava per i dirupi scoscesi e gole profonde, e pregava mentre si sentivano lontano i belati delle pecore e l’abbaiare dei cani-pastore. Improvvisamente, tuoni di una potenza paurosa parvero scuotere la terra. Da tempo non pioveva più e la terra era diventata screpolata e grinzosa, molte piante avevano perso le foglie e perfino le pale dei fichidindia si erano rinsecchite e abbassate come le orecchie del suo somaro.
Al chilometro quaranta dell’Orientale Sarda, nei pressi de su zippiri de Marani, arrivò ad un ovile, dove l’acqua caduta con violenza, aveva trascinato via lungo il fiume la recinzione di frasche e di sassi. Due giovani ragazze, le figlie del pastore, che vivevano sempre sul monte e dormivano in una baracca, avevano dovuto lavorare parecchio per richiudere il varco e impedire che il gregge si potesse allontanare. Un gregge di pecore rinsecchite che si trascinavano stancamente alla ricerca dell’ultimo stelo d’erba. Le ragazze fecero entrare il frate grondante d’acqua, lo fecero asciugare al fuoco e, sulle mani livide, gli misero un pezzo di pane nero. Poi stanche andarono a dormire lasciandogli una povera zuppa di fave e un giaciglio vicino al fuoco. Il frate ringraziò e, con un sorriso, tirò fuori da sotto la tonaca una moneta d’oro e la porse alle ragazze che non credevano ai loro occhi.
“Il Signore vi benedica” aggiunse il frate. Il mattino dopo, le fanciulle trovarono la zuppa ancora sul tavolo e il giaciglio intatto. Dopo alcuni giorni, tornando in paese, seppero che la notte del 31 ottobre era morto un frate nel convento. Il 31 ottobre, la notte in cui quel frate era arrivato all’ovile, la notte de is animeddas. Le due ragazze non diventarono ricche ma grazie a quella moneta, ebbero una vita senza preoccupazioni. Tziu Strintu continuò ad arricchirsi, adesso lo chiamavano Priogu Arresuscitau, ma visse sempre prigioniero del suo egoismo. Morì triste, solo e senza affetti, due anni dopo questi fatti. Il giorno? Sempre il 31 di ottobre.
Maria Cinus
(ilsarrabus.news)
: