SARRABUS, “Is brebus”, gli antichi riti del passato
Le pratiche di medicina popolare dedicate ad eliminare l’influenza nefasta de “s’ogu pigau” sono ancora molto diffuse in Sardegna, eppure nel nostro Sarrabus sembrano oramai in via di estinzione.
Brebu è “parola”. Negli antichi testi giudicali, “torrare berbos” significava rispondere. Attualmente i brebus vengono considerati come parole magiche, gli scongiuri, le frasi capaci di guarire malattie o allontanare dagli uomini malefici e fastidi. Brebu ha un significato forte, di grande impatto per i sardi: significa “verbo“, cioè parola attiva, parola che genera cose, che produce effetti, parola usata come chiave d’accesso per sciogliere nodi che possono causare inceppi a una vita che vorremmo vedere scorrere liscia come l’olio, con meno ostacoli possibili.
Nella maggior parte dei casi i brebus andavano, – e vanno ancora – recitati all’interno di un ben articolato rituale, composto da parti, di chiara influenza cattolica e altre di origine assolutamente pagana (nei brebus vengono nominati spesso Dio e i Santi).
Si tratta di riti che vengono tramandati dagli anziano ai giovani. Quanti giovani oggi del Sarrabus sembrano essere interessati a ereditare e salvare così queste preghiere antiche, questi riti mistici e pieni di energia? I guaritori sardi sono gli ultimi custodi di antiche arti mediche isolane. Tra i tanti primati della Sardegna, a cominciare da quello della longevità, vi è quello dei guaritori specializzati.
Non sono medici, sono uomini e donne che però conoscono i poteri delle erbe, le utilizzano in miscugli per curare e in alcuni casi conducono le loro terapie pronunciando is “brebus”, antiche e segrete parole magiche tramandate di generazione in generazione. Qualche signora o signore anziano pratica ancora queste antiche preghiere nel Sarrabus e nel vicino Gerrei.
«Mio nonno che era quasi centenario ne conosceva tanti ma non abbiamo avuto la capacità di farceli tramandare – spiegava la signora Virgilia Erriu di San Nicolò Gerrei in un’intervista a PrendasdeSardegna rilasciata qualche anno fa (GUARDA IL VIDEO) – Lui sapeva il rito per evitare che le mosche si poggiassero sulla carne cruda appesa, quando si ammazzava il maiale, in modo tale che gli insetti non vi depositassero le uova. Inoltre ne utilizzava altri per evitare che gli uccelli andassero sul grano, danneggiandolo, e per tenere lontane le cavallette. Io personalmente conosco i “brebus” per guarire le verrucche. Ce ne sono diversi: una mia amica, ad esempio utilizza una lumaca per il rito. La particolarità di questa tradizione sarda è che può essere insegnata ad una persona più piccola di età ma non ad una più grande. Un “brebu” di guarigione è quello di Sant’antonio del fuoco: si raccolgono le monete di casa in casa e si fa dire una messa dedicata al Santo. I santi non dormono sempre e una manina la danno. Ricordo anche il un rito particolare per i problemi di allattamento sua delle mamme “umane” che delle pecore. Un pezzo di stoffa buttato per terra (perchè, diceva un’anziana signora che sapeva farlo, dalla terra siamo generati e alla terra ritorneremo) che veniva poi passato sul seno delle persone o degli animali in difficoltà. E poi ce n’era un’altro per aiutare le persone che soffrivano d’insonnia senza che ci fosse necessità di prendere medicinali».
C’è da augurarsi che tutto questo non debba mai morire ma tramandato da generazione in generazione. Non è una questione di credere o non credere nell’efficacia de “is brebus”: tutto ciò fa parte del nostro patrimonio culturale millenario, prezioso quanto uno dei nostri nuraghes.
Katia Monni
(ilsarrabus.news)
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