LA LETTERA, L’appello: “Ridatemi la mia pensione, sfumata per un banale errore di omonimia”
Gentile redazione, scrivo per portare a conoscenza dei lettori una vicenda a dir poco anomala che mi vede privata di un diritto importante: la pensione d’invalidità. 31 anni fa, nel corso della mia attività di coltivatrice diretta ho subito due importanti infortuni di cui uno alla schiena. Dopo le visite e gli accertamenti di rito nei quali sono state accertate le mie condizioni, l’Inail ha deciso di risarcirmi con poco meno di 12 milioni delle vecchie lire. Purtroppo la vicenda non si è chiusa qui. Non mi sono mai ripresa da quegli infortuni: ho continuato a star male e di ciò ho informato anche l’Inail, ente al quale ho sempre inviato tutta la documentazione medica a me relativa. Finalmente nel lontano 2002 si sono decisi a convocarmi e mi hanno sottoposta a una visita collegiale. Il responso è stato chiaro: hanno accertato un grado d’invalidità che mi ha assicurato, così dicevano, il diritto a una pensione d’invalidità. Sembrava tutto fatto ma il tempo è passato e di questa indennità d’invalidità nemmeno l’ombra. Ho sollecitato più volte e a di fronte alle mie insistenze mi hanno risposto, verbalmente, che c’era stato un errore e che l’indennità che avrei dovuto percepire, in realtà era stata assegnata a una mia omonima. Non conto più le volte in cui mi sono recata negli uffici dell’Inail per chiedere lumi, mi sono fatta assistere anche da un legale e da un patronato ma la risposta è stata la medesima (sempre verbale e mai per iscritto): “La pensione d’invalidità spetta alla sua omonima ma non a lei”. Sono convinta che si tratta non solo di un errore ma di una grandissima ingiustizia, tanto più che i “responsi” mi sono sempre stati forniti in maniera informale. Chiedo che venga fatta finalmente chiarezza e possa aver la possibilità di godere di un diritto che, viste le mie condizioni, ritengo sacrosanto.
Anna Atzeni – Villaputzu