Cultura

Published on Dicembre 30th, 2017 | by Redazione

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CAPODANNO, Tempo di calendari e previsioni

Ormai non sapremmo più vivere senza calendario, questo insieme di fogli stampati che scandirà per noi i prossimi 12 mesi. La nostra vita si basa sul memorizzare date future: per ricordarsi una scadenza di pagamento, scriversi un appuntamento, prenotare un viaggio. Presi dalle nostre occupazioni e preoccupazioni quotidiane, raramente pensiamo che questi rigorosi compagni di viaggio sono governati dagli eventi astronomici, che il giorno è il tempo della rotazione della terra intorno a se stessa, il mese quello delle quattro fasi lunari e l’anno è il tempo che impiega la terra nel suo eterno girovagare intorno al sole.

 

Oggi i calendari sono codificati e gli strumenti moderni sono in grado di misurare ogni fibrillazione del tempo, prevedendo i giorni delle lune, quarti compresi, ma nei tempi passati e nelle diverse civiltà, i popoli hanno creato calendari di vario genere, anche se non certo così precisi. Nel mondo agropastorale sardo, il calendario rispecchiava i ritmi della natura. Il 21 settembre, inizio dell’anno agricolo, era Capudanni, che identificava anche lo stesso mese di settembre. Seguivano su Mesi de ladamini (ottobre, mese delle concimazioni), Dogniassantu (novembre, ognissanti), mentre dicembre era su Mesi ‘e idas (dalle idi latine) o Paschixedda (come veniva chiamato il Natale). Poi Gennaxu, Friaxu, Marzu, Aprili, Maiu, su Mesi de Lampadas (giugno, dalla luce che emanavano i fuochi di San Giovanni), su Mesi de Argiolas (che prendeva il nome da argiola, l’aia dove veniva fatta la trebbiatura), per finire con Austu, nome dedicato all’imperatore Augusto.

Quei nostri progenitori vivevano, beati loro, in sintonia con la natura e, in mancanza degli attuali satelliti, dovevano inventarsi le loro previsioni meteorologiche per stabilire in anticipo tutto, dalla pioggia imminente ai tempi della semina e delle altre lavorazioni. I metodi usati erano empirici, un atto d’amore verso madre terra e talvolta un inno alla creatività. Osservando sa braba murra de Padendeddu (la barba bianca del monte omonimo, espressione colorita per indicare la nebbia), la foschìa sul monte Liuru o le nuvole striate viste attraverso un setaccio da farina, capivano le variazioni atmosferiche in arrivo. Galline e formiche che si nascondevano, cani che non volevano uscire dalla cuccia o la presenza di zanzare erano segni che stava per piovere. E così sa luna lambrigosa (la luna lacrimosa, così chiamata quando era circondata da un’alone rosseggiante).

In assenza del calendario di frate Indovino, per avere le previsioni di tutto l’anno, contadini e pastori si basavano sull’osservazione dei primi 24 giorni del mese di settembre, Capudanni appunto. Queste previsioni erano chiamate is lundras. Le condizioni metereologiche dei giorni di settembre, man mano che scorrevano da 1 a 24, sarebbero state attribuite al mese abbinato. Quindi, ogni giorno che passava si sarebbe rispecchiato nel mese da prevedere (1 e 24 riguardavano le previsioni di settembre, 2 e 23 quelle di ottobre, 3 e 22 quelle di novembre e così via). Giorno per giorno le condizioni venivano annotate per essere applicate ai mesi successivi.

Queste previsioni non sempre sarebbero poi state confermate, ma l’uomo ha sempre sognato di prevedere il futuro, come dimostra il successo degli odierni oroscopi. I nostri antenati erano certo più superstiziosi di noi, ma sicuramente rispettavano la natura e vedevano la terra come una madre amorevole da cui trarre nutrimento, non, come troppo spesso accade oggi, una “cosa” da sfruttare senza riguardo, per soddisfare la nostra avidità.

Maria Cinus

(ilsarrabus.news)

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