Storia

Published on Gennaio 18th, 2018 | by Redazione

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VILLASIMIUS. La storia di Carbonara, la sua economia e il suo vino rinomato

Comune del “Campidano di Cagliari, curatoria dell’antico giudicato caralese, oggi compresa nella Provincia di Cagliari. Vi si contengono: Assemini, Burcei, Carbonara, Mara-Calagonis, il Maso o Manso, Pirri, Pauli – Palma (Pauli –Pirri), Quarto, Quartuccio, Selargius, Sestu, Settimu, Decimu, Sinnai”, ricompreso nella Baronia di San Michele. Così si apre la pagina del Dizionario geografico-storico- statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna di G. Casalis nella parte curata da Vittorio Angius sui comuni della Sardegna.

Siamo nella prima metà dell’Ottocento e Carbonara si trova sotto la giurisdizione dell’arcivescovo di Cagliari. La sua piccola chiesa è una filiale della parrocchia di Mara–Calagonis.

All’epoca, gli agricoltori di Carbonara seminavano grano, orzo, fave, semi di lino e, nonostante l’invasione delle cavallette decimasse le colture, da qualche anno vi fruttificano in maniera importante grano, orzo e fave e lino. Vi sono 500.000 viti ed il loro prodotto è il triplo di quello che si ottiene nel resto del Campidano. Vista la propensione del terreno, si dedicano tutti alla coltura della vite, producendo vino ordinario (il rosso) e gentile (il bianco). La qualità del bianco è rinomata nella provincia di Cagliari, mentre i rossi sono idonei solo per stomaci resistenti. Anche l’acquavite prodotta in maniera abbondante era eccellente. Per comprendere quanto fosse in un anno il prodotto delle vigne, basti sapere che nel territorio di Carbonara da un tralcio destinato a propaggine per tre fondi, si producevano centoventidue grappoli.

Si coltivavano alcuni orti ed in particolar modo le patate trovavano terra adatta al loro sviluppo. Prosperavano gli alberi da frutto. Gli olivastri venivano innestati anche se purtroppo i “narbonatori” avevano incenerito numerose piante di quella specie. Anche la pastorizia era un’attività fiorente: vi erano 220 buoi per l’agricoltura 220; 12 vacche domestiche e 200allo stato brado; 1000 capre; 600 porci; 10 cavalli; 150 puledri. Le pecore rendevano 15 libbre di formaggio l’anno; le capre 20; le vacche 40. Il poco prodotto caseario delle pecore era dovuto alla scarsezza del pascolo, causata dalle scorribande delle popolazioni limitrofe  e dei pastori Biddamannesi, i quali sostenevano di aver diritto di svernare a Castiadas, ma ne oltrepassavano spesso i confini. Si esercitava anche l’allevamento delle api con la presenza di 1000 arnie. I cinghiali erano numerosi, “che non si sa se cagionino maggiori danni loro o i biddamannesi!”, così come cervi daini, lepri, quaglie, pernici, tordi e merli. Per quanto riguarda la pesca, erano i pescatori cagliaritani a spingersi nelle acque di Carbonara: la curiosità, oltre al pesce comune a tutto il Golfo di Cagliari, è la presenza delle foche.

Per quanto riguarda le antichità, pare che intorno alla chiesetta di Santa Maria esistesse già una popolazione, che si voleva insediata vicino ad una fonderia di ferro che si estraeva da un vicino monte. Ad un miglio dalla chiesa a su fraìli (la fucina) in effetti esistevano le rovine di un forno attorno al quale si narravano parecchie storie. Un altor insediamento venne individuato vicino alla chiesetta di San Pietro, attorno alla quale si trovavano sepolcri coperti con lastre di pietra, con dentro “ossa, vasi lacrimatoi e monete di rame”. In S’Arcu ‘e su Masu, durante gli scavi per dar vita a nuove abitazioni, venne alla luce un acquedotto con tubi di piombo, mentre sulla cima di Montesogno (Monte Sonus) pare si trovasse un monumento dalle mura ciclopiche.

Vengono ricordati anche un fortino, ex  stabilimento per la pesca dei tonni sul capo Carbonara e tutte le torri presenti sul territorio, compresa quella perduta di Cala Caterina. Una piacevole pagina di storia che racconta la prima fase di vita della nascente comunità di Carbonara.

Elisabetta Valtan

(ilsarrabus.news)

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