VILLAPUTZU, Antonio Lara, il patriarca delle launeddas in un libro fra memoria, suono e genio
Dimenticate per un momento le classifiche, i festival e le mode etniche dell’ultima ora. Qui si parla di radici, di fiato e canne, di memoria musicale che non si legge in pentagramma ma si tramanda col respiro. Iscandula – l’associazione culturale che da quarant’anni raccoglie, conserva e difende il patrimonio delle launeddas come un monastero benedettino fa coi suoi codici – ha sfornato un nuovo volume, e che volume. Si intitola “Antonio Lara. Il più grande maestro di launeddas del XX secolo?“, ed è un punto fermo (con punto interrogativo) su un nome che per i suonatori sardi è più di un maestro: è il nume tutelare.
Lui, Antonio Lara, nato a Villaputzu nel 1886, suonava prima che esistessero i microfoni. E per fortuna qualcuno, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, pensò bene di andare a trovarlo con uno registratore a nastro. Si chiamava Andreas Fridolin Weis Bentzon, danese, antropologo, musicologo e visionario. Aveva poco più di vent’anni quando si mise in viaggio da Copenhagen al Sarrabus, e sapeva già cosa cercava: uomini come Lara. Il risultato? Una messe di registrazioni, fotografie, appunti, schede tecniche e, soprattutto, l’unica vera testimonianza diretta del maestro mentre “donava” il suo repertorio.
Quel materiale – sonoro, visivo e scritto – è ora tutto raccolto in un volume bilingue, italiano e inglese, pubblicato da Iscandula sotto la regia di Dante Olianas. Dentro ci trovate le foto in bianco e nero di Lara che suona tra le mura di casa, le 90 registrazioni inedite raccolte in un CD, le schede originali scritte da Bentzon, e persino i sei tumbus che Lara costruì per Rahsaan Roland Kirk, gigante del jazz afroamericano e amico del danese. Sì, perché anche la storia delle launeddas ha le sue deviazioni cosmopolite.
Il libro sarà presentato venerdì 27 giugno a Escolca, nei locali del Museo Etnografico Casa Pillatus, con l’introduzione di Dante Olianas e una nutrita compagnia di studiosi, storici, musicologi e familiari del maestro. Chiuderà la serata un concerto di launeddas e fisarmonica che, per chi le launeddas le ha solo sentite nei cortei di Sant’Efisio, sarà una rivelazione sonora.
Dietro tutto questo, una verità limpida: se oggi lo strumento simbolo della musica sarda respira ancora, se ha lasciato la nicchia folclorica per tornare ad avere una voce nella musica colta e popolare, lo si deve anche al lavoro minuzioso e appassionato di Andreas Bentzon. E al fatto che in Sardegna, ogni tanto, qualcuno ha il coraggio di prendersi cura della propria eredità senza imbalsamarla.
Perché la cultura, quella vera, non si conserva sotto vetro. Si ascolta, si suona, si tramanda. E si pubblica in libri come questo. (ilsarrabus.news)
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