Sardegna

Published on Marzo 15th, 2025 | by Redazione

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ALIMENTAZIONE, La ricetta della salute e dello sviluppo parte dal pane sardo

Riprende vigore anche questo mese la campagna mediatica dedicata al cibo. Ogni giorno si trovano in bella evidenza un po’ dappertutto articoli o editoriali e addirittura dei docufilm dedicati agli alimenti ed allo stile di vita sano. Per la verità l’informazione pubblica si occupa del cibo e delle produzioni alimentari già da parecchi anni, non solo per esaltare i guru della ristorazione o gli chef stellati, ma, con sempre maggiore frequenza, si indirizza sui pericoli generati da un’errata nutrizione. Accanto al filone per così dire salutista, dedicato al rapporto cibo-salute, oggetto di infiniti studi e di altrettanti infiniti rapporti scientifici c’è poi quello che celebra il cibo come leva dello sviluppo locale: l’arte culinaria non solo veicolo di salute e di longevità ma elemento centrale nelle politiche economiche nazionali e regionali. Del resto, il cibo e i metodi di preparazione degli alimenti sono parte integrante della cultura e delle tradizioni dei popoli, sotto ogni latitudine; come autorevolmente è stato sostenuto, l’uomo è ciò che mangia.
La Sardegna su questi temi ha molto da dire tanto che tra i motivi che l’hanno fatta assurgere a simbolo mondiale della blue zone e patria dei centenari c’è proprio il rapporto speciale tra i sardi e la loro alimentazione. Le generazioni precedenti alle nostre non avevano con il cibo il rapporto problematico che noi oggi invece viviamo, sia perché erano condizionate dalla relativa quantità e varietà delle produzioni animali e vegetali da trasferire a tavola, sia perché prima dell’avvento della produzione alimentare industriale di massa le metodiche di preparazione e conservazione del cibo erano quelle che si tramandavano in famiglia. Per merito dei recenti studi, si scopre che queste metodiche non solo facevano bene alla salute, ma caratterizzavano luoghi e territori, anche sotto il profilo economico, oltre che culturale. La Sardegna, grazie alle sue tradizioni millenarie, ha carte da giocare su entrambe i fronti e nell’Isola ogni prodotto offre opportunità da cogliere, a partire da quello (solo apparentemente) più semplice: il pane.
Basterebbe considerare che la Sardegna, da sola, ha più varietà di pani tradizionali di tutta l’Europa messa insieme. Lo dicono sia i ricercatori universitari che gli antropologi i quali, insieme ad alcuni operatori enogastronomici e ai food blogger, celebrano oggi le virtù del pane tradizionale sardo come elemento unificante e centrale della identità sarda. Dove risiede questa autorevolezza? Intanto partiamo da un dato: fa bene all’organismo, specie perché il pane sardo tradizionalmente si fa con il lievito madre. Solo chi ha assaggiato un pane fatto con il lievito madre ed un pane standard fatto con il lievito di birra sa di cosa parliamo. Il pane di lievito madre è meglio tollerato, ha una consistenza caratteristica, genera fragranze inconfondibili. Il lievito madre però è difficile da conservare e deve essere costantemente rinnovato, da quì la sua diminuita diffusione con l’avvento dell’era industriale, quando la geniale invenzione del lievito di birra ha permesso la panificazione di massa. Secondariamente, ogni paese della Sardegna si impegnava anche nella preparazione artistica del lavorato, così che ogni pane identificava una comunità, una tradizione, una metodica ed il pane, da base della dieta quotidiana diveniva – in occasioni speciali – segno di abilità ed al contempo di identità.
Nonostante l’avvento della produzione industriale, che ha ridotto le incombenze giornaliere sia per chi prepara che per chi mangia, la tradizione di lavorare il pane si è ridotta, ma non è davvero mai scomparsa.
Senza la pretesa di imporre ai produttori un ritorno completo al passato, impossibile oggettivamente, si sottolinea il valore aggiunto che questo importante alimento tipico potrebbe fornire al sistema regione. Come è possibile che – oggi – ristoranti e ristoratori di punta propongano piatti di alto livello quando poi abbinano ad essi dei pani industriali? Si tratta di una palese contraddizione: da un lato porceddu e Cannonau (i vini poi sono già tutelati) e accanto un pane industriale anonimo e insapore. Questa cosa succede un po’ dappertutto, a partire dagli agriturismi fino ai ristoranti che compaiono nella guida Michelin. Non ha molto senso, anche in chiave culturale, insistere sulla necessità di privilegiare ingredienti biologici e locali (anche per ridurre le emissioni di gas serra ed il consumo di acqua e di suolo) e di recepire le richieste della comunità scientifica internazionale, che raccomanda di rendere la dieta mediterranea protagonista del pasto esaltandone le proprietà nutrizionali per poi fare scelte di basso profilo che mortificano l’immagine della Sardegna.
Su questi temi si sta impegnando da qualche tempo l’Accademia Sarda del Lievito madre, fondata nel 2022 per impulso del Prof. G.A. Farris, già docente dell’Università di Sassari, con lo scopo di valorizzare l’impiego del lievito madre nella panificazione, con una particolare attenzione alle tematiche inerenti la filiera cerealicola dalla coltivazione del frumento duro fino alla valorizzazione dei prodotti trasformati. L’Accademia, tra le altre cose, sta cercando di indirizzare i panificatori a promuovere alcuni pani tipici per la IGP.
Si auspica che la Regione Autonoma della Sardegna possa sostenere questi sforzi con politiche mirate a mettere insieme produttori (magari recuperando terreni per mettere a dimora i grani antichi) e imprenditori, in un quadro ordinato e coerente di valorizzazione delle risorse enogastronomiche, per permettere finalmente l’ingresso sulla tavola dei ristoratori, accanto al porceddu ed al Cannonau, dell’unico elemento ancora mancante, il pane sardo di lievito madre. ANTONFRANCO TEMUSSI (ilsarrabus.news)

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