IL RICORDO, Il Sarrabus piange tziu Attilio Cuboni, il re dei capocaccia
Zio Attilio Cuboni ci ha lasciato alcuni giorni fa. Zio Attilio era il “capocaccia”, un uomo d’altri tempi a cui istintivamente ho sentito il dovere di dedicare un breve ricordo.
So già che l’uomo schivo e riservato come era non avrebbe gradito questo se pur breve attimo di celebrazione perché, a dirla come Emilio Lussu, era abituato più a tacere che a parlare. Ciò nonostante ho voluto ricordarlo per quello che mi ha dato personalmente in un momento particolarmente difficile della mia vita ma penso anche di esprimere in queste righe un pensiero condiviso dalla tante persone che a vario titolo hanno avuto modo di conoscerlo e stimarlo.
Ma è sopratutto nell’ambito venatorio che lui era conosciuto, perché come descriveva, sempre Emilio Lussu nel racconto Il Cinghiale del Diavolo: “il capocaccia doveva essere non solo tra i migliori tiratori, ma il conoscitore perfetto del territorio, delle abitudini della selvaggina e delle sue tracce. E doveva, al di sopra di ogni altro, possedere uno stile di vita che imponesse rispetto a tutti. Solo così poteva esercitare la sua autorità. L’ultima parola era la sua, e aveva valore di legge“.
Zio Attilio Cuboni, il capocaccia era uno di questi. Ricordo ancora con emozione quando lo conobbi, dritto nonostante qualche acciacco cominciasse a manifestarsi, poggiato con il mento sul suo bastone di ferula con l’immancabile cappellino, solo raramente sostituito in occasioni particolari da un baschetto nero.
Dritto con quegli occhi azzurri come il cielo che sovrastava il nostro territorio di caccia e azzurri come quel mare che talvolta si intravvedeva in lontananza all’orizzonte. Lui stava lì, immobile, a sentire la canizza dei suoi cani passati alla storia, Kelly, Flora, Gigante, Bracco, Skid. E alla fine della battuta il suo caratteristico fischio risuonava lungo le vallate di San Giorgio, da Seraginusu a Tintorgia e Su Giuncargiu, da Forrosu a Serra e’ Mari.
Lungo quei tratturi si fermava spesso a parlare ed a scherzare con i suoi amici pastori: Bissenti Longoni e Murretto e i suoi vice-capocaccia, zio Bobore e zio Egidio. E la sera si rientrava a chiacchierare degli episodi della giornata di caccia attorno al focolare.
Oggi questi ricordi sono un patrimonio della mia memoria e ringrazio don Gianni Cuboni per avermi dato la possibilità pochi giorni prima della sua scomparsa, di poter abbracciare per l’ultima volta zio Attilio, che nonostante la voce flebile, gli occhi socchiusi e il respiro affannoso, teneva il suo dito indice innalzato a monito “sono io che decido”.
Ci hai lasciato zio Attilio ma il tuo esempio rimarrà imperituro nel tempo…che la terra ti sia lieve. Buon viaggio zio Attilio
Gianfranco Cogoni (su dottori)
(ilsarrabus.news)
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