Published on Novembre 30th, 2023 | by Redazione
0RICORDI. Quelle battute di caccia alle folaghe degli anni ’40 e ’50 a Colostrai
Lo stagno di Colostrai e la palude che lo circondava è stato alla fine degli anni 40 e l’inizio degli anni 50 un territorio dove la fauna selvatica e quella ittica trovava tutti gli elementi adatti e necessari alla sua vita, elementi che si raggruppavano nell’alimentazione, tranquillità e anche sicurezza. L’habitat perfetta si raggiungeva in quanto sotto il ”Ponte de su para” passava un fiumiciattolo di acqua dolce che moriva nei canneti dello stagno, rendendo quelle acque molto appetitose sia per la fauna ittica e quella acquatica.
Con l’autunno arrivavano dal nord Europa voli di anatre selvatiche che svernavano nelle accoglienti acque salmastre che partendo dalla peschiera passavano per lo stretto di Buca de Palus, proseguiva sino ai canneti di Satina rasentava Sa Tanca di don Attilio e finiva in Su Filu de su Murdegu.
L’unico allarme per la selvaggina acquatica, a parte i rapaci, erano i pescatori che risalivano con le barche verso il centro dello stagno per la pesca con le reti. Il giorno della battuta agli acquatici di solito era segreta, bastava che in tono confidenziale qualche pescatore che lavorava nella peschiera di Colostrai ( Pischera Manna) la girasse a qualche amico e il ”segreto” diventava noto a tutti i seguaci della dea Diana.
Era meglio così, la selvaggina migratoria in quegli anni non avendo un referente di proprietà, Res Nullius, apparteneva al cacciatore che riusciva a scovarla e catturarla. La battuta agli acquatici di solito si faceva la domenica nel mese di Febbraio. All’alba quando la luce del nuovo giorno iniziava a dare un volto alle cose, la riva dello stagno si animava di persone armate di doppiette con i cani esterni, qualcuno anche di fucili ad avancarica, cartucciere luccicanti, cani nervosi e vogliosi di correre, qualche macchina che arrivava da Cagliari, biciclette appoggiate ai cespugli, tascapani contenenti la classica merenda: cifrasciu fatto in casa, fette di lardo, salsiccia pure quella casalinga e la immancabile crocoriga di binu nieddu. Arrivavano da Muravera per la vigilanza le ”Guardie bosco” (gli attuali agenti della Forestale), armati di moschetto 91 insieme alla ”Venatoria”, tutti in bicicletta.
I cacciatori si posizionavano nelle poste migliori in attesa che da Pischera Manna le barche con a poppa un cacciatore e un rematore iniziassero a salire verso il centro dello stagno, dove i germani reali, fischioni, codoni, morette e alzavole e le folaghe erano ammassate. Di solito nelle giornate delle battute il tempo era sempre nuvoloso, vento freddo, e, spesso pioveva. Le prime fucilate arrivavano quando il sole iniziava a illuminare i canneti, le distese di salicornie, i tamarix, i cespugli di giunchi, le file verdi di stiancie colorandoli di un colore rossastro misto di giallo, allertando gli acquatici che vi si trovavano. Le prime ad alzarsi in volo in direzione del mare e gli scogli di Feraxi erano le anatre, seguite dalle folaghe che, però, giravano in tondo nello stagno beccandosi le fucilate dai cacciatori in barca oppure da quelli appostati sulla riva o in mezzo ai canneti. La selvaggina colpita cadeva in acqua con un tonfo facendo accorrere il barcaiolo oppure i cani da riporto. Qualche diverbio succedeva fra i cacciatori appostati sulla riva che sparavano la stessa preda, chi aveva il diritto di recupero.
Verso mezzogiorno era tutto finito, le barche rientravano nella peschiera con la cacciagione ammucchiata sulla prua della barca, gli altri cacciatori appostati sulla riva riprendevano le loro biciclette, contavano le prede, chiacchieravano e rientravano nei paesi di provenienza. Altri, i più scaltri con i segugi controllavano i cespugli della riva dello stagno riuscendo a stanare quella selvaggina ferita che si era nascosta, senza sparare un colpo. Intanto nella peschiera si faceva baldoria insieme alle Autorità provenienti dal capoluogo e a qualche ”pezzo grosso” della borghesia cagliaritana e muraverese; seguiva, poi, un lauto pranzo a base di pesce preparato dai pescatori trasformatosi per l’occasione in valenti chef.
La sera, quando il sole iniziava a nascondersi dietro Monte Acuto e la tenebre piano piano calava oscurando la distesa stagnante e i suoi dintorni, iniziava il rientro della selvaggina provvisoriamente emigrata nel mare o sugli scogli di Feraxi. Lo stagno si ripopolava ed iniziava nuovamente il rumore caratteristico delle anatre, folaghe, gallinelle d’acqua che facevano le scorrerie in tranquillità. Solo lui, il re della palude, il Pollo sultano, (Caboni de canna) ancora nascosto in mezzo ai canneti di Puntera manna, vestito di blu scuro e becco rosso stanco di solitudine, emetteva i richiami striduli alla sua compagna in perfetta tranquillità.
Antonio Agus
(ilsarrabus.news)