Cultura

Published on Ottobre 31st, 2019 | by Redazione

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RICORDI. Is Animeddas fra le stradine di Muravera e quell’uomo che ci offrì “sa mendula”

Piombammo nel vicinato come un mortaretto che si deflagra in cielo: prima piano, poi sempre più forte fino a quando fummo noi l’unico rumore tutt’intorno. Forse, quel pomeriggio, perfino il cane dietro il cancello capì che il chiasso in quella viuzza stretta di cemento era permesso, non abbaiò.

 

Avevo nove anni. Percorremmo la strada che dalla vecchia sartoria di Sestu, quella con la porticina marrone e i vetri sottili, conduce verso la chiesa fino a quando ci bloccammo tra tre strade e i dubbi, allora innocenti, ci presero già per mano:

-E adesso dove andiamo? disse N.
-Continuiamo a salire! rispose L.
-Uffa! Ma il mio zaino pesa e io non ho voglia di fare ancora una salita.

A. aveva il cerchietto che quasi le arrivava a metà fronte, i capelli umidi e le guance rosse come due bacche di corbezzolo.

-Pensa a me che giro con una federa di cuscino! risposi
-Nessuno te lo ha fatto fare! Potevi benissimo prenderti lo zaino! mi rispose con la sua voce squillante prima di aggiungere: io mi siedo qui e mangio una merendina, vi aspetto qui, io!
– Te lo avevo detto che non dovevamo uscire con le femmine! mi disse sottovoce N.
-E va bene! risposi, riposatevi, noi entriamo in questa stradina, la indicai.
-Ma se è un vicolo cieco! si inserì L.
-Non sei obbligata a seguirci, se non vuoi.

Caricata la federa in spalla scendemmo verso il viottolo lasciandoci alla spalle il borbottio gorgogliante di A. Da lì svoltammo a sinistra verso un vicolo cieco quel vicolo dove un tempo viveva maestro Augusto conosciuto dai bambini come il maestro pittore (e chi se lo scorda!). Superata la piccola discesa, presa una piccola salita, svoltammo a destra; la prima immagine che si spalancò ai nostri occhi fu quella di un uomo che sedeva con le gambe incrociate e il palmo della mano destra sotto il mento, riposava.

Sedeva stanco sulla sua seggiolina bassa di colore rosso che ondulava lentamente, ci diede l’impressione che potesse spezzarsi e far cadere quel vecchio da un momento all’altro.

Aveva in testa un capello, la camicia scura, a grossi quadri scozzesi.
Ci vide, si svegliò, alzandosi si levò il capello, ai piedi teneva un enorme cesta di giunco logorata dal tempo.

-Benei benei, disse. Era lento come il movimento dei rami di un vecchio carrubo che si muove e non si spezza. Le mani ossute afferrarono una misura di ferro che si riempì fino all’orlo.

-Mendula piccioccheddusu! Mendula che attru non cesti ma sa gratzia de Deusu è grazia mancai siada pagu. Il vecchio carrubo disse così e si commosse: a is animasa e bascei cun Deusu.

La manica della camicia scura ora è un pò più bagnata e quel vecchio stanco ricordò a voce qualcuno parlando al passato. Chissà ora dove starà riposando, chissà quale era il suo nome. Di certo, torna puntuale e stavolta è lui a bussare alla porta dei ricordi, vestito di chiaro, con una federa di cotone grezzo, con la fronte alta e il capello sul capo, regale e fiero come un vecchio carrubo.

Andrea Zinzula

(ilsarrabus.news)

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