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Published on Marzo 23rd, 2019 | by Redazione

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POLITICA. Indipendentisti sardi finalmente uniti? Il parere di Claudia Zuncheddu (Sardigna Libera)

Le recenti elezioni regionali hanno escluso per la seconda volta i gruppi indipendentisti, che hanno deciso di presentarsi in autonomia rispetto alle coalizioni dei partiti italiani. Nel complesso hanno raggiunto oltre l’8% delle preferenze, ma per una legge elettorale che impedisce la rappresentanza alle minoranze, i partiti divisi sono rimasti fuori dalla massima Assemblea regionale. In una democrazia compiuta è da ritenersi inammissibile uno sbarramento elettorale finalizzato a porre ai margini le minoranze, e per questo abbiamo intervistato Claudia Zuncheddu, di Sardigna Libera, già Consigliere comunale a Cagliari e Consigliere regionale nella XIV legislatura, che nel ricercare un ruolo centrale dei partiti sardi nella politica regionale, ha fatto un appello all’unità del frammentato mondo indipendentista e progressista.

 

Claudia Zuncheddu, perché un’unione degli indipendentisti?

Il motivo principale è da ricercarsi nella nostra storia. A distanza di settant’anni di gestione politica da parte dei partiti italiani, riscontriamo dei risultati catastrofici su tutti i fronti. Ci ritroviamo con una Sardegna più povera in cui i problemi si sono sovrapposti nel tempo. Subiamo un inquinamento ambientale causato da modelli di industrializzazione imposti e contro natura, giustificati dall’alibi del superamento del sottosviluppo, che a distanza di oltre mezzo secolo ha generato realtà ancora più povere e depresse di prima. Bisogna chiederci di chi è la paternità di questa cattiva gestione. chi ha distrutto la cultura sarda. Chi è che ha svenduto le risorse della nostra terra. ancora, chi ha promosso la militarizzazione dei nostri territori, perché non è accettabile che oltre il 62% della militarizzazione, prevista su tutto il territorio italiano, sia concentrato in Sardegna. Una evidente gestione coloniale della politica locale, la cui paternità di questa disfatta è da attribuire ai partiti italiani, che nel gioco dell’alternanza hanno governato la Sardegna. Abbiamo la necessità di una classe politica preparata a governare la nostra terra negli interessi dei sardi. Certo, ci rendiamo conto che la maggioranza degli abitanti di questa nostra Isola, milita o vota per i partiti italiani, ma questo rientra nell’effettiva mancanza di una proposta politica credibile, cui grande responsabilità ha il mondo identitario, che mai come oggi è stato diviso.

Il mondo identitario, le sue componenti organizzate in partiti hanno un progetto? E se si, perché non si è mai riusciti a giungere ad un convergenza politica?

Sulla mancata convergenza, credo che il motivo sia legato ad una forte disgregazione culturale imposta da forze esterne, nella più drammatica e tipica forma di colonizzazione perpetuata negli anni. E’stato attivato un processo di cannibalismo politico ed intellettuale in sostituzione a quello adottato un tempo, quando l’insorgere sociale veniva domato attraverso dei complotti, in cui venivano individuati e giustiziati gli artefici a monito dell’intera popolazione. Adesso quei complotti non sembrano più necessari, vi sono dei sistemi molto più sofisticati ed economici per disgregare i sardi, agendo dall’interno del mondo identitario. Io credo che la disgregazione, concausa di una mancata convergenza, sia il frutto di questa devastazione culturale. non è possibile che un popolo sia costituito solo da invidiosi o da generosi. Questo sentimento basso dell’invidia o dell’autodistruzione, per cui un indipendentista distrugge un altro indipendentista, perdendo di vista il nemico numero uno, è l’esito di una lunga e tenace educazione di matrice coloniale. Molto spesso nel mondo indipendentista, si ereditano i peggiori difetti dei partiti italiani. Dobbiamo prendere atto e comprendere che noi siamo diversi, dovremmo essere solidali tra noi e se vi fosse una intensa solidarietà, sarebbe più facile l’unione, per naturali affinità.

Esistono dei veri e propri muretti a secco tra gli indipendentisti? O peggio ancora, è possibile che alcuni portatori politici del progetto indipendestista, forse a causa di una loro soggettività complessa, costituiscono l’elemento di impedimento verso la convergenza dei partiti indipendentisti?

Più i tanti implorano questa unità, più questa sembra allontanarsi. E’necessario andare a fondo sul concetto di unità. Se questa unità implica processi di annessione, e non di condivisione, va da se che non potrà mai avere esito. Tutti nell’affermare se stessi, in quanto movimenti o partiti, invitano gli altri ad entrare nella loro organizzazione. Un atteggiamento di annessione, finalizzato ad ingrossare le fila dei propri partiti, e scimmiottare i partiti italiani nel tentare di gestire il potere. Noi oggi non siamo in questa condizione. Per altro, noi di Sardigna Libera proponiamo, come già abbiamo fatto dal 2009, durante la mia presenza da indipendentista in Consiglio regionale. Presi presto atto di esser sola nella massima Assemblea regionale: le nostre idee non combaciavano né con il centro destra né con il centro sinistra. Lanciai un appello alle forze identitarie per unirsi all’esterno, con lo scopo di rendere più efficace l’azione in Consiglio. purtroppo non vi fu alcun seguito a quell’appello. Il progetto di unione deve andare oltre quello di mero “assorbimento”, per cui le forze deboli vengono fagocitate da quelle più forti. Noi proponiamo la creazione di un vasto in cui convergano tutte le diversità politiche, non solo quelle indipendentiste, che nei fatti attualmente sono marginali nella realtà sarda. Esiste un fortissimo fermento nei territori, dato dall’esistenza di comitati, che lottano nei settori più diversi, dalla pastorizia alla difesa della sanità pubblica o contro la militarizzazione. Esistono forze progressiste fuoriuscite dal blocco politico italiano di centro sinistra, che possono trovare un ruolo all’interno di questo fronte popolare identitario, ed è l’unica possibilità per far fronte ad una legge elettorale regionale, formulata per difendere il bipolarismo italiano, che oggi con il movimento 5 stelle è diventato tripolarismo. Tutti i movimenti identitari, tutte le minoranze che stanno fuori dai blocchi politici italiani, sono esclusi dalla partecipazione politica nella massima Assemblea del popolo Sardo, a causa di questa legge elettorale fatta da sardi, contro i sardi. Dobbiamo puntare ad una proposta credibile e realizzabile, dove ognuno ha diritto a conservare le sue peculiarità politiche, ricordandoci che dobbiamo fare i conti con le potenzialità numeriche della società sarda. Ahimè, non è mai esistito un progetto politico serio, solitamente tutti scrivono i programmi sedendosi ad un tavolo, poi quelli che padroneggiano la lingua italiana hanno la meglio. Il progetto politico non può e non deve nascere ad un tavolo, ma dai bisogni dei territori. Il territorio è una collettività, un settore che vive un problema e conosce anche la sua soluzione. La classe politica non può esser costituita dagli unti del Signore, che dopo esser eletti diventano onnipotenti. Con questi meccanismi la classe politica ha espresso dirigenti mediocri ed incompetenti, completamente scollegati con il territorio. Per altro, sul versante femminile, purtroppo ancor oggi le donne sono viste come una minoranza che, minoranza non è. vi sono responsabilità non solo maschili, ma di donne che dall’interno delle istituzioni hanno proposto l’estrapolazione di una pessima legge, solo di una sua componente che riguardava il genere femminile. La doppia preferenza è a mio parere un errore, sia perché non ha risolto il problema di rappresentanza delle donne, come il risultato elettorale ha mostrato, sia perché ha consentito agli uomini di mettere in piedi diverse aggregazioni, in cui sono stati privilegiati gli uomini stessi. Le donne devono battersi per una legge elettorale equa, la società sarda deve essere dotata di una legge elettorale all’altezza della situazione, adeguata.

Lei ritiene che, nei termini di una aggregazione, l’unità può essere determinata e agevolata da una donna?

Assolutamente si. Di recente c’è stata una grande assemblea indipendentista a Scanu Montiferru, alla presenza di gruppi organizzati e no. la maggioranza era costituita da liberi pensatori, tutti indipendentisti. Moltissimi giovani, tantissime donne. Ciò che mi ha sorpreso, in un momento abbastanza critico della vita politica sarda qual è l’attuale, è stato il numero di interventi da parte di giovani donne, competenti e passionali, che hanno richiamato i miei ricordi della saggezza delle vecchie donne sarde. Una di queste giovani rimarcava la precarietà di un suo impegno, a causa di una incerta permanenza nell’Isola, per via degli studi e della ricerca del lavoro. Il suo problema è il problema attuale di tutti i giovani, che non si trovano più di fronte ad una opportunità, ma ad una necessità inderogabile, la cui soluzione deve essere al centro della politica degli indipendentisti.

Oggi abbiamo più opportunità e ulteriori costrizioni che ci spingono a viaggiare per studiare e lavorare, che frutto traiamo, in quanto sardi, da questo arricchimento culturale?

In un libro da me scritto nel 1992, reportage sulla corsa Parigi-Pechino, dissi che “per essere dei buoni cittadini del mondo, bisogna avere delle radici profonde”. Un concetto valoriale, importante e giusto. Oggi la Sardegna, ai nostri giovani che partono può solo garantire un certificato di nascita. Sanno che devono lasciare questa terra, per poter vivere e crescere. E’anche vero però che, distanti dalla loro terra, questi stessi giovani maturano un forte sentimento di appartenenza culturale. E’una caratteristica importante dell’indipendentismo fuori dalla Sardegna, per cui tra i giovani, che studiano in giro per il mondo, si sviluppa e si accentua il sentimento di appartenenza. Allora dico che, il loro contributo di idee, grazie all’arricchimento derivante dal confronto con le diverse culture, può svolgere un ruolo determinante nello sviluppo di un progetto per il futuro della Sardegna.

Possiamo quindi sperare che il viaggiare dei nostri giovani, nel confrontarsi con l’umanità mondiale, conduca loro e noi ad abbattere quei muri a secco che ci tengono imprigionati?

Ma certo, bisogna superare una condizione di arretratezza culturale e politica. oggi un giovane inorridisce al pensiero dell’idea di indipendentismo chiusa dentro una scatola. L’indipendenza è un sentimento, un valore come la libertà. L’indipendenza e la libertà vanno di pari passo, sono sentimenti nobili ed ultimi, il cui raggiungimento però, deve avvenire attraverso un percorso altrettanto nobile.

Maurizio Ciotola

(ilsarrabus.news) in collaborazione con Il Punto Sociale

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